Knut_Rassmussen


 

Knud Rasmussen,

 A Nord di Thule – Iperborea, 2025

Nell’aprile del 1912 Knud Rasmussen parte da Thule, la stazione groenlandese che lui stesso aveva creato e battezzato, con tre compagni, un cartografo e due inuit. Un viaggio dalla costa occidentale a quella orientale della sterminata isola artica. Torna nel settembre successivo seguendo la rotta inversa. Ha con sé il suo diario di viaggio, che rielabora e dà alle stampe. Non era nuovo all’impresa: già nel 1902 aveva fatto parte della «spedizione letteraria» lungo la costa occidentale groenlandese, non un’esplorazione ma un viaggio con lo scopo di raccogliere materiale orale della tradizione inuit. Ne era nato il libro Nye mennesker (Nuova gente), un classico della “antropologia“ nordica. La spedizione del 1912 ha scopi scientifici, in particolare cartografici. Ma Knud non smentisce la sua vocazione letteraria, la sua capacità di riflessione sui moti dell’anima, la sua attenzione al pulsare della natura immacolata.

Così avvia il racconto:

Oggi inizia il cammino, il grande viaggio nel Nord della Groenlandia, col sole primaverile e la limpida allegria della partenza. Salve a voi, compagni, uomini felici sulla soglia di gioiose rivelazioni! Le mattine solleveranno il lembo del grande ignoto e col sole correremo incontro ai nostri desideri!

Là fuori, all’aperto, pieni d bramosia per i giorni che nascono, coi muscoli tesi, avidi come predatori in corsa, salutiamo l’inizio, il viaggio verso il nord!

Con l’animo sereno, a vele spiegate, pronti per entrare in nuovi mondi col vento in poppa!

Certo una qualche retorica di primo Ottocento, ma tutta la sensibilità della motivazione umana del viaggio, della corsa verso l’ignoto, della pulsione di un Odisseo dantesco:

I miei cani bianchi scintillano al sole e la loro andatura costante è prova di forze buone e sane, pronte ad essere impiegate. Quattordici cani fieri e baldanzosi spalancano il portone del grande ignoto che ci attende.

E il destino non ci troverà impreparati, che ci porti verso vittorie luminose o verso la grande oscurità che inghiotte la sconfitta dell’uomo!

[…]

Perché tutti i viaggi del mondo esistono solo per chi il viaggio lo compie, agli altri rimane solo la povertà che possono dare le parole.

Prima di avventurarsi nel deserto ghiacciato, una sosta in un insediamento inuit, un punto di stoccaggio alimentare per l’appunto battezzato “Carne”, «un’oasi di generi di prima necessità che si dovrebbe augurare anche a tutti gli altri popoli del mondo». E qui, in un giorno di festa, Knud dà prova di tutto il suo talento di esploratore “antropologo”, facendoci assistere ad un rito di iniziazione.

Pelle d’orso polare ad uso rituale, parte dell’archivio del Tuukaq Teatret, Fjaltring, Danimarca.

 

 

Un ragazzo si avvolge in una pelle d’orso e senza farsi vedere dai cani se ne va sulla banchisa, così lontano che alla fine si scorge soltanto un puntino che appare di tanto in tanto tra gli scrosci di neve della bufera. Nel frattempo una dozzina di cacciatori ha attaccato i cani alle slitte oltre il bordo della banchisa, e quando la sagoma del ragazzo si intravede nitida per un istante in mezzo ai rovesci di neve, i cani ricevono il segnale dell’orso.

[…]

Non appena i cani della prima slitta sono stati liberati, tutti gli altri seguono l’esempio, e in un attimo il povero ragazzo ha intorno un paio di centinaia di predatori scatenati. Se ora non mostra una presenza di spirito quasi miracolosa, liberandosi delle spoglie dell’orso, inevitabilmente verrà dilaniato prima che i cani, in preda all’eccitazione, si rendano conto che tutto questo non era altro che un pericoloso scherzo.

Ma in quei pochi secondi il ragazzotto mette alla prova i suoi nervi, e in un certo senso ha la possibilità di dimostrare la presenza di spirito che un giorno deciderà il suo destino di cacciatore.

Archivio
Foto dall’archivio del Tuukkaq Teatret, Fjaltring, Danimarca.

Knud ha davanti a sé centinaia e centinaia di chilometri di viaggio attraverso terre mai calpestate dall’umano, in condizioni meteorologiche estreme e con la caccia come unica risorsa di sopravvivenza. Ma non rinuncia ad osservare, riflettere, rappresentare. E una volta in cammino, di fronte a spaventose avversità, il suo resoconto si riveste di parole ammirevoli.

I polmoni della tempesta si riempiono del sibilo dell’aria e soffiano sulla terra il loro canto selvaggio. Un canto di forze liberate e vincoli spezzati, un inno delle zone desertiche a una natura inflessibile che per un capriccio spazza insieme cielo e terra e affoga l’orizzonte tra le cascate della sua sprezzante risata.

Una risata, non un ghigno. La natura scatena forze spaventose ma non è mai “nemica”. Impossibile combatterla, l’umano può semmai difendersi con i mezzi che la sua intelligenza gli forniscono, ricercando una dimensione di sintonia.

Foto di una rappresentazione teatrale al Tuukaq Teatret.

 

Al riparo degli igloo o della tenda, quando fuori le condizioni sono proibitive, c’è la straordinaria compagnia di due libri.

Siamo stanchi e assonnati, e visto che non vogliamo più correre il rischio di dormire troppo a lungo […] rimango sveglio e mi rinfranco lo spirito con La tentazione di Sant’Antonio di Flaubert

[…]

Ma caro Antonio, che spreco di forze esporre il proprio animo ai tormenti dei grandi incubi! Se tu avessi conosciuto questa nostra strada maestra, saresti potuto passare al servizio della scienza attraversando la calotta glaciale della Groenlandia. Qui avresti trovato solitudine e mortificazione in abbondanza, e avresti persino evitato di farti straziare l’anima da Ilarione e di mettere alla prova i tuoi sensi con la potente regina di Saba.

E per noi ancor più sconcertane il secondo libro.

Visto che abbiamo dormito tutti abbastanza, e a starcene sdraiati con gli occhi chiusi ci viene solo il mal di testa, facciamo il tentativo di spostarci da un’altra parte del mondo leggendo I promessi sposi di Manzoni, un romanzo sentimentale di briganti spagnoli che racconto ai nostri accompagnatori inuit.

Ma a loro tutti gli intrighi e i colpi di scena non fanno alcun effetto perché non posso confermare che sia una storia vera: sono indignati al pensiero che potrebbero essere tutte bugie e fantasie dello scrittore. Loro pretendono la solida realtà.

Difficile immaginare come il Manzoni sia finito nella bisaccia di Knud, che comunque anche qui si rivela non solo critico letterario, ma come sempre attento “antropologo”, curioso della struttura mentale inuit.

Il viaggio continua, uomini di un’energia impensabile procedono per la loro sopravvivenza. Tempesta dopo tempesta, caccia al bue muschiato, digiuni e festini con la carne delle prede, marce forzate, pericoli, escursioni solitarie. Eppure la riflessione è sempre lì, la capacità di elaborare i sentimenti e di metterli in parole.

Si provano sentimenti particolari in una situazione come questa, quando ci si addentra in una terra strana e sconosciuta e ci si lascia inghiottire dalla cupa solitudine dei monti. C’è in questi potenti territori deserti una severità che si trasferisce nel nostro animo senza che ce ne accorgiamo. Un’ora dopo l’altra un uomo infinitamente solo avanza senza sentire alcun suono, senza vedere niente di vivo, e poiché si cammina con tutti i sensi tesi per trovar tracce, per vedere, per sentire, spesso in quel solenne ambiente nasce dentro un tale tensione che ci si sorprende a fermarsi e trasalire al rumore dei propri passi.

 

La caccia è sopravvivenza, uccidere per non morire. Ma l’occhio si posa sulla preda riconoscendone la dignità. Knud guarda il bue muschiato come un essere vivente, da sacrificare per necessità, ma da rispettare, non una “cosa” semplicemente al servizio dell’umano.

In quell’ambiente rappresentava la personificazione del sinistro ed enigmatico deserto in cui eravamo piombati. Nel suo essere assorto in se stesso c’era l’estrema quiete delle montagne, nel suo petto possente c’era il respiro del grande inverno e nei suoi occhi lucidi tutta la tremante malinconia della breve estate.

[…]

Il bue è andato incontro al pericolo e alla morte con la compostezza di un re. Non si è mosso di un passo, non si è abbassato a difendersi e, come se volesse mostrare di proposito il disprezzo del signore di fronte alla marmaglia che andava lì a ucciderlo, con una toccante espressione di superiorità ha annusato il nostro sentore dalle narici frementi.

Una scoperta. Anni prima l’americano Peary, arrivato a quello che aveva battezzato Independence Fjord, a nord est della costa groenlandese, si era misteriosamente convito che da lì partisse un canale che arrivava fino alla costa occidentale. Stando così le cose, la Groenlandia sarebbe stata composta da due isole, cosa che apriva ad ogni sorta di rivendicazione su quella settentrionale. Ma Knud e i suoi compagni al termine del fiordo si imbattono in una muraglia.

Poi, superato il promontorio, abbiamo visto con la massima chiarezza ciò che da tempo avevamo sospettato: la Groenlandia era collegata alla Terra di Peary, e il canale non esisteva affatto!

Se ne sarebbe riparlato.

Il viaggio è finito. E nuove considerazioni si affollano.

Perciò anche i piaceri risultano più genuini e pieni, rispetto a quelli sperimentati su sentieri già battuti. L’esploratore trae nutrimento dalla selvaggi abbondanza della natura e si disseta nel profondo dei grandi spazi. È sempre un cammino verso il meraviglioso.

[…]

E poi, d’improvviso, è come se un tocco di malinconia si mescolasse all’atmosfera radiosa del ritorno a casa. La grande, muta bellezza delle lande desolate scende sui ricordi, il profondo silenzio delle terre dove il nostro piede fu il primo a posarsi ci cattura ancora nel suo incanto. E ripensando alle esperienze ormai alle nostre spalle, un sentimento di nostalgia scende su di noi come una canzone in sordina che parla del tempo in cui la vita cresceva rinnovandosi ogni giorno.

Un viaggio è finito.

E un nuovo viaggio sta già schiudendo i suoi orizzonti.

Così si conclude il diario di Knud di quel 1912.

Una scoperta preziosa. In tempi in cui l’umano aggredisce la natura fino a provocare la catastrofe, nelle pagine di Knud si legge una relazione che è un incontro. La natura è dura, pericolosa anche, fino a prendersi delle vite, ma mai ostile, mai nemica. La natura è, come è l’umano. In Knud mai un’imprecazione, una dichiarazione di guerra, una aggressività. Paura certo, come paura si ha di forze gigantesche con cui ci si misura. E sguardo, contemplazione, curiosità, rispetto. Perdersi per ritrovarsi, esplorare per conoscere, non per asservire. La poesia di ghiaccio nasce da qui.

Oggi la Groenlandia fa notizia. Le scellerate dichiarazioni di Trump, le sue pretese aggressive, sono il revival delle politiche, fortunatamente fallite, di diversi presidenti americani, da Truman a Eisenhower. La Groenlandia è strategia militare, terre rare, rotte commerciali, denaro e supremazia.

Che abisso dallo sguardo poetico di Knud.

(Fabrizio Grillenzoni)

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[Tutte le foto, eccetto il ritratto di Rasmussen: (c) DanielAbbruzzese. Per esse la nostra riconoscenza va a Erninguaq Poulsen, che anni fa ci ha permesso di accedere agli archivi del teatro groenlandese Tuukkaq, e a Reidar Nielsson, venuto a mancare nel 2024. L’apparato fotografico che accompagna questa intensa Notte Attica vorrebbe anche celebrare la memoria di quest’ultimo, pioniere nella riscoperta e nella conservazione delle tradizioni, teatrali e non solo, della cultura inuit groenlandese].