È una Notte attica atipica, quella che Fabrizio Grillenzoni regala ad Arufabetto stavolta: atipica, perché più che di belle lettere e di storia della cultura, parla di anni bui come pochi se ne sono visti nel secolo passato… tempi talmente bui da ricordare quelli che stiamo attraversando.

Mecacci Bechterev
Luciano Mecacci Lo psicologo nel Palazzo. Il caso Bechterev-Stalin, Palingenia Venezia, 2024

C’era un tempo in cui il manicomio, non senza fondamento, veniva considerato il concentrato di ogni possibile tormento per malati sfortunati; era l’epoca in cui i pazzi venivano visti con disprezzo e disgusto e venivano messi in catene!… Il manicomio… che abbiamo di fronte rappresenta una brillante vittoria dell’umanità e della scienza sull’ignoranza e sulla superstizione… La follia, per quanto possa manifestarsi in forme violente, non è che una malattia, e appena ci si renderà conto della verità dell’affermazione che il folle è un malato e che il manicomio è un ospedale, allora non si dirà più che la follia disonora la persona.(1° luglio 1869)

La clinica era stata progettata per ospitare un centinaio di malati di mente …. Il nuovo edificio ospitava anche strutture speciali per laboratori e attività didattiche. … Affinché i locali per i malati non apparissero luoghi di detenzione, i progettisti avevano rinunciato all’istallazione delle tradizionali sbarre alle finestre. (luglio 1892)

Otre a proibire i tradizionali metodi di contenzione fisica, i pazienti dovevano essere impegnati in occupazioni lavorative: potevano coltivare frutta e verdura nell’orto della clinica, produrre oggetti in porcellana e ricamare cuscini e tovaglie, che erano poi messi in vendita nelle fiere. Venivano inoltre organizzati spettacoli musicali e teatrali – con la partecipazione di cantanti e attori famosi- il cui ricavato andava in beneficenza.

Sembrerebbero considerazioni e descrizioni, in Italia, della “psichiatria basagliana”, della gestazione della legge 180, della Psichiatria democratica degli Anni 1960-70.

Invece no. Raccontano il pensiero e le realizzazioni di Vladimir Michailovič Bechterev, neurologo e psichiatra russo nato nel 1857, morto, vedremo come, nel 1927.

La Russia di Nicola II è bigotta, oscurantista, reazionaria, antisemita. In particolare i manicomi sono prigioni dove i “pazzi”, devianti e obbrobrio della società, subiscono le peggiori sevizie, Devono rimanere nascosti al mondo della “normalità” e della “ragione”, di cui sono la negazione. È lo steso periodo, sia detto per inciso, dell’introduzione in molte città e Stati degli USA, delle “ugly laws” (rimaste in vigore in alcuni casi fino agli Anni ’70 del ‘900), che vietavano a pazzi, mutilati, deformi di apparire in strada, pena ammende, per la salvaguardia del “pubblico decoro”.

Eppure in quella stessa Russia si facevano strada idee di una modernità sconcertante, e Bechterev ne era il rappresentante più prestigioso. La sua battaglia contro la psichiatria ufficiale, “carceraria”, non fu facile. Le sue idee erano progressiste, vicine alla socialdemocrazia, represse dal potere zarista. Malgrado la sua autorevolezza sceglie di rinunciare a qualsiasi posizione accademica. Prima a Kazan e poi a Pietroburgo crea strutture private, appena tollerate dal potere, dove insegna e sperimenta le sue teorie e le sue pratiche di cura dei malati di mente. Tra mille difficoltà, opposizioni e sabotaggi.

La follia come malattia e non come colpa. L’origine sociale della malattia mentale. Il progresso sociale come antidoto alla devianza. L’educazione generalizzata come strumento decisivo. L’apertura dei malati mentali al mondo. Pilastri del pensiero di Bechterev che in quegli anni appaiono al limite della profezia.

Bechterev appoggia convinto le rivoluzioni del 1905 e del 1917. Si avvicina ai bolscevichi. Ma continua ad avere vita non facile. Riconoscimenti molti, ma diffidenza tanta. Lunačarskij, commissario del popolo all’istruzione del primo governo bolscevico, parla di Bechterev come “grande scienziato”, ma lo sospetta apertamente di “arrivismo”.

Ma c’è di più, e di peggio. Quel che non piace di Bechterev, al nuovo stato bolscevico come non piaceva al vecchio zarismo, è la sua indipendenza. L’idea che la scienza, la sperimentazione, non deve dipendere e prendere ordini dal potere politico, quale che sia. E qui i bolscevichi non lo seguono. Anche la scienza, la medicina, la psichiatria, devono essere di Stato, controllate dall’alto.

Bechterev non ci sta. È insofferente rispetto all’idea che la ricerca e la pratica medico-scientifica debba avere il beneplacito del potere. Continua l’insegnamento, l’attività di conferenziere e la professione di neurologo e psichiatra, evitando comunque nella misura del possibile di scontrarsi apertamente con il potere bolscevico. Seguito con attenzione diffidente dai nuovi padroni della Russia. Troppo indipendente, troppo autorevole.

Fino al 1927. E qui entriamo in una vicenda poco decifrabile con certezza, ma non per questo meno eloquente pur nel mistero. La mattina del 23 dicembre di quell’anno Bechterev si presenta al Cremlino, convocato da Vasilij Kramer, già medico di Lenin. Deve visitare Stalin per accertamenti neurologici, sempre rimasti misteriosi.

La sera dello stesso giorno va a teatro con la moglie, e dopo lo spettacolo partecipa ad un rinfresco. Il 24 comincia a star male. Le sue condizioni si aggravano. La notte del 25 muore. Ne dà notizia la Pravda solo il 28 dicembre. Non si farà nessuna autopsia approfondita.

 

Le congetture, le narrazioni, sono quanto mai affascinanti. In primo luogo: che conclusioni avrà mai tratto il luminare Bechterev dalla visita neurologica di Stalin? A posteriori una diagnosi di paranoia e psicopatia è credibile. Ma quanto di questa diagnosi eventuale viene comunicato a Stalin? Bechterev, nella sua presunzione di luminare, commette un errore fatale? Si considera al riparo da qualsiasi minaccia o rappresaglia? Certo è che dalla visita e la diagnosi alla morte passano meno di tre giorni, con la notizia ufficiale di un’intossicazione alimentare. La conclusione che da quella visita mal gliene sia incolto è la più logica e diffusa, a posteriori. Certo è che nel 1927, a solo tre anni dalla morte di Lenin, Stalin non disponeva del potere incontrastato che avrebbe poi avuto. Ma un avvelenamento non è poi cosa tanto difficile.

Fatto sta che Bechterev dopo la morte viene colpito da una damnatio memoriae. I suoi libri non vengono più ristampati. Il suo nome scompare dai lavori scientifici, non se ne fa parola nelle conferenze e nei convegni. La seconda moglie Berta Jakovlevna viene arrestata con l’accusa di spionaggio e fucilata. Solo a partire dai tardi Anni ’70 e poi con la Perestroika il personaggio ricompare, vengono riconosciuti i suoi meriti. E la narrazione del suo destino ad opera di Stalin, per quanto senza prove certe, si accredita. Narrazione verosimile, che come tale tanto si avvicina al vero.

Persona scomoda Bechterev, autorità indiscussa, democratico moderato e radicale, profilo di cui ancor oggi si sente bisogno. Scomodo allo Zar e scomodo ai bolscevichi. Per l’autonomia della scienza e della ricerca da condizionamenti politici e ideologici. Vittima, giusto esserne convinti, di tempi bui.

[Fabrizio Grillenzoni]