Dieci domande a Domenico Dara
[a cura di Gigi Corsini]
Credere, sì, è anche questione di questo nel romanzo Liberata di Domenico Dara, presente nella decina finalista del Premio Sereni. L’autore è noto per l’attenzione ai linguaggi e per la maestria con cui sa far incontrare scrittura e destini. Arufabetto è particolarmente contento di questo breve dialogo.
1. «Credeva ancora di più alle cose che non si vedono da quando una sera di qualche anno prima suo padre si era addormentato sul divano davanti al televisore e lei si era alzata per spegnerlo». Liberata, la protagonista del suo ultimo romanzo, è una persona che crede in una miriade di cose, legate tra di loro dai fili misteriosi che è capace di tessere o immaginare. Crede a tutto, ma non alle promesse, leggiamo ad un punto. Cos’è per Liberata il credere? E per lei cos’è?
Il concetto di credere, per me e per Liberata, riguarda il nostro modo di porci di fronte alla realtà, e scegliere se il mondo si riduce a tutto ciò che vediamo e sentiamo – l’universo dei sensi – o se invece anche ciò che sfugge ai sensi può rivendicare una sua esistenza. È, appunto, una scelta. Una scelta che a molti parrebbe infondata, poiché il nostro tempo ha coltivato una sensibilità fenomenica per cui solo ciò che si vede esiste. Eppure una scelta c’è, una scelta che dipende dalla cultura, dalla sensibilità, dal bisogno benefico dell’illusione. Forse la definizione più bella di letteratura è che la si fa quando la vita non basta. Ecco, ci sono donne e uomini per le quali la vita non basta, e hanno bisogno di costruirsi una realtà aumentata – la vera realtà aumentata che non è quella dell’Ai ma quella che l’uomo da sempre si crea nella mente -. Perché passo dal credere allo scrivere? Perché anche la letteratura è per alcuni versi un atto di fede poiché è il regno dell’invisibile per eccellenza, e lettori e scrittori abitano tutti insieme questo universo parallelo fondato sulla fede del possibile in cui tutto può accadere.
2. È noto il suo lavoro sulla lingua e sul linguaggio. In Liberata il tempo è scandito anche dall’acquisto e dalla lettura dei fotoromanzi. Come si è preparato per rendere vivo nella trama il particolare registro estetico del “romanzo illustrato”?
Fa bene a sottolineare l’importanza che riveste la lingua nei miei romanzi. Penso che un romanzo possa essere scritto con una e una sola lingua, per cui l’autore deve essere capace ogni volta di creare un linguaggio che sia più aderente possibile alla storia che deve raccontare. Nel mio romanzo precedente, Malinverno, il linguaggio era colto, ricercato, metaletterario, perché doveva essere coerente con la vicenda del protagonista che era un bibliotecario, amava i libri, e filtrava il mondo attraverso le letture che faceva. In Liberata la scena muta completamente, e poiché protagonisti sono i fotoromanzi, ho dovuto costruire una lingua che mimava quella piana e colloquiale e semplice di questi romanzi illustrati. Ho letto molto fotoromanzi e mi sono concentrato su quelle che erano le loro caratteristiche linguistiche. Poiché si tratta di una lingua distante dai miei gusti, ho creato il personaggio di Zangari, che sta scrivendo un libro sugli insetti, il quale utilizza un linguaggio più poetico e ricercato che si avvicina maggiormente al mio registro linguistico preferito.

3. Franco Gasparri, questo attore emblematico, anche per la sua vicenda personale tutta chiusa nel Novecento, per l’incidente che lo vide protagonista e che sembra una tragica uscita da un mondo ideale. Liberata ha una sorta di presentimento, leggendo un’intervista di Gasparri in cui lui parla del suo amore per la moto e la velocità…
Volevo che in qualche modo la morte di Franco Gasparri entrasse nella mia storia, e allora ho pensato a questa sorta di prolessi. C’è, nella dolorosa fine di questo uomo, una sorta di tragicità greca, la morte che coglie l’eroe nel suo momento di massimo splendore. Muore giovane chi è caro agli dei. Giovane e famoso. Mi sembrava giusto far echeggiar quel tragico epilogo, che un po’ rovescia la filosofia dei fotoromanzi nei quali i finali sono sempre consolatori e ottimisti. Ecco, l’incidente di Gasparri è un segno del distacco che c’è tra la realtà e la finzione narrativa.
4 E poi c’è Glauco, l’edicolante impegnato politicamente, per cui i fotoromanzi sono un guilty pleasure… fa tornare in mente che anche la rivista NOI DONNE pubblicava dei romanzi illustrati, con intenti educativi, come Una donna si ribella del 1947. Cosa cerca davvero Glauco nei fotoromanzi?
Ai fotoromanzi, al di là della vulgata denigratoria, oggi vengono riconosciuti molti meriti, dalla diffusione dell’italiano alla rivendicazione della figura femminile attraverso storie edificanti. Quello che vi cerca Glauco – e tutte le lettrici e i lettori di quella generazione – è una finestra sul sogno, uno squarcio di come dovrebbe essere ogni amore, un angolo d’illusione, una fuga dalla realtà. Ricordo lo sguardo di mia madre ogni volta che ne richiudeva uno, il mondo intorno che all’improvviso si riempiva di possibilità, la speranza che il lieto fine che corona sempre le storie dei fotoromanzi possa un giorno toccare anche a lei. Glauco sogna un amore come le altre donne, cambia solo l’oggetto del desiderio ma i meccanismi restano sempre gli stessi.
5. Le telefonate anonime, l’anonimato, inquietudine ma anche un lasciare aperta la porta al destino. Oggi cosa potrebbe ricreare quella sensazione?
Cambiano i tempi, si modificano i mezzi e gli strumenti ma la sostanza non cambia. Se devo pensare a un luogo contemporaneo nel quale possono entrare in gioco queste coordinate penso ai social, che addirittura possono amplificare questi meccanismi attraverso una possibilità di falsificazione che altre epoche non hanno conosciuto. I furti d’identità sono all’ordine del giorno: profili inventati, fotografie rubate, immagini ritoccate. Dirò di più, che siamo arrivati a un livello tale di falsificazione attraverso l’IA da non riuscire più a distinguere la realtà dalla finzione.

6. Girifalco, poi Timpamara e qui in Liberata una specie di sospensione sul nome del luogo. Quanti nomi si possono inventare per mascherare un luogo reale, in specie quello del paese? E in genere, per lei, come arrivano i nomi dei personaggi?
Cambiano i nomi ma il luogo è sempre lo stesso: tutti e quattro i miei romanzi sono stato pensati e creati sulla topografia del mio paese d’origine, che nei primi due romanzi era chiamato col suo nome, che in Malinverno veniva camuffato con Timpamara, e che in Liberata viene chiamato sempre e solo paese. Era un modo per variare una narrazione che altrimenti avrebbe reso quel luogo improbabile alla luce di tutto ciò che vi accade tra una storia e l’altra. Nei miei libri i nomi dei luoghi e dei personaggi sono molto importanti, e li scelgo sempre in base al loro ruolo e al loro carattere: nel Breve trattato, per esempio, il protagonista si chiama Ulisse, negli Appunti Archidemo, in Malinverno Astolfo, nell’ultimo Liberata. I nomi dicono già molto dei personaggi, è come se cominciassero a delinearne la carta d’identità, fanno parte integrante dell’individuo come il carattere o il colore degli occhi.
7. «Appena t’arriva sta lettera, prendi radu lu passaporto, scrivi a Napoli e prendi la migliore cabina, vendi l’orto e dà la chiave di casa al Sindaco. E adesso stop-rattu, cioè lascio di scrivere, parti contento, Tà, e quando sei a Cibiaterra, avvisami col telefricu Marcune. Cubài: al resto ci pensa il figlio tuo che ti abbraccia e penza sempre». Questa citazione è tratta da una delle tante lettere che compongono la trama sotterranea del suo libro Breve trattato sulle coincidenze, uscito nel 2014. Il dialetto, a volte, è un crogiolo che vivifica la lingua standard. In questa lettera poi si fonde in una nuova lega con la lingua da migrante. Qual è la sua storia personale con il dialetto, anche al di là della scrittura?
Ho sempre amato, come lettore prima e scrittore dopo, linguaggi compositi, miscellanei, plurilinguisti, che attingono a registri diversi, che mescolano alto e basso, popolare e colto. In questo senso, il dialetto è sempre stato elemento innovatore nella storia della letteratura. Per me la lingua è soprattutto identità: come alcuni dei miei personaggi, è stata di volta in volta elemento di integrazione ma anche di distacco. Diciamo che le parole le conservo per i miei libri: in genere sono una persona che parla molto poco.

8. Riandando a Timpamara, il paese in cui è ambientato un altro suo romanzo, Malinverno, e ripensando alla sua biblioteca, fermo restando che l’oblio è un manto che va rispettato per un po’, qual è secondo lei un’autrice o un autore che bisogna riscoprire?
La letteratura è piena di autori e libri dimenticati, passati di moda. Io mi sento di consigliare un libro che non è mai passato di moda semplicemente perché non è mai stato di moda: il romanzo fiume Oga Magoga del calabrese Giuseppe Occhiato, ripubblicato recentemente da Il Saggiatore. Un romanzo che non ha nulla da invidiare al magnifico Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo.
9. Dato che il suo romanzo è finalista al Premio Sereni le chiedo se c’è un libro di Clara Sereni che le è particolarmente caro o che si sente di raccomandare.
Di Clara Sereni ho letto i racconti di Manicomio primavera. È una sensibilità molto vicina alla mia, per cui direi di iniziare da qui.
10. Se potesse essere intervistato da qualcuno che non è più qui, una persona famosa o meno, ma importante per lei, chi potrebbe essere?
Da mio padre, che non ho mai conosciuto. Risponderei alle sue domande, a condizione che anche lui risponda alle mie.
Grazie, Domenico.
Tags In
Related Posts
Categorie
- Antirazzismo
- Berlino
- Cinema
- Claus Peymann
- commemorazioni
- Cosimo Calamini
- Creatività
- Creazioni
- Critica cinematografica
- Cultura
- Dario Bellezza
- diari
- Diritti civili
- Diritti omosessuali
- Domenico Dara
- editing
- Edoardo Vitale
- Elfriede Jelinek
- Erica Cassano
- Estetica
- Feltrinelli
- Femminismo
- Finalisti Premio Letterario
- Frankenstein
- Garzanti
- Gli Straordinari
- Impegno civile
- Interviste
- La Grande Sete
- Letteratura
- Letteratura contemporanea
- Letteratura del Novecento
- Letteratura europea
- Letteratura femminile
- Letteratura Italiana
- Letteratura rumena
- letteratura tedesca
- Lettura
- Libri
- linguaggio
- Mare e scrittura
- Memoria
- Mercatore
- Mitologia
- Mondadori
- Napoli
- Narrazione
- Neurologia
- Neuroscienze
- Nord
- Notti Attiche
- Novecento
- People
- Poesia
- Polo Nord
- Premi Letterari
- Premio Campiello
- Premio Letterario Clara Sereni
- Processi creativi
- Racconto
- recensioni
- Resistenza
- Ricerca
- romanzi
- Rubrica
- Scrittrici
- Servizi di scrittura
- Storia
- Storia dell'arte
- Storia della cultura
- Storia della letteratura
- teatro
- Thomas Bernhard
- Uncategorized
- Wanda Marasco
- Zeitgeist