Arufabetto ha incontrato per i suoi lettori una delle protagoniste della scena letteraria italiana, Valentina Fortichiari. Il Po, Zavattini, il cinema, la pace, il mare, malattia e medicina, come dice lei, ma soprattutto la scrittura, intima e pubblica, sono alcune delle suggestioni che hanno animato questa conversazione con una delle autrici preferite di Arufabetto.

[a cura di Gigi Corsini]

 

Salve Valentina. Quando ha capito di non poter fare a meno di scrivere?

Molto presto, nella prima adolescenza. Ho iniziato a 12 anni a tenere un diario (il primo, quello classico con la chiavetta per segretezza, poi grandi quaderni, più avanti prove di libri bianchi a stampa, album, infine a tutt’oggi i piccoli Moleskine da portare con me ovunque). Al contempo pasticciavo con poesie, raccontini. Prove di scrittura. Soprattutto ricopiavo brani interi dalle mie letture. Trascrivere a mano la scrittura di altri è un lavoro importante di assimilazione.

Non ho paura delle acque fredde
Valentina Fortichiari, foto dell’autrice

Da poco è uscito il terzo volume dei Diari di Zavattini, cui le si deve la curatela. L’importanza di questa trilogia dei diari è enorme. È come se riallacciasse direttamente il filo con quell’Italia che inizia a sorgere negli anni quaranta. Un arco di tempo enorme, dal 1941 fino al 1987.

Sì, seguendo la storia ‘mentale’ di Za, il suo lavoro in tutti i campi, confessioni e brogliacci di scrittura, soggetti, ho seguito il filo rosso di una storia italiana vista attraverso gli occhi di uno dei più importanti osservatori del mondo, un intellettuale a tutto tondo. Che oggi ci manca. Mi hanno colpito le pagine degli anni ’40 all’inizio, sulla guerra: da lì, dagli orrori visti sui bambini morti o feriti a Roma, dove Za si era da poco trasferito, lasciando Milano e l’editoria, dalle bombe che cadevano dal cielo, dai passi dei tedeschi, ebbe inizio la sua cruciale battaglia per la Pace. Oltre mezzo secolo di infaticabili appelli, di film (furono i registi sovietici ad assegnare a Za il Premio Mondiale della Pace nel ’55 “per aver favorito l’amicizia fra i popoli”). Nei diari scorrono i nomi dei protagonisti della politica, dell’arte, della cultura italiana: coi quali Za non sempre si trovava allineato, ma che cercava di spronare perché uscissero dalla sfera spesso autoreferenziale contribuendo con lui alla diffusione di un sapere democratico, un sapere di Tutti (con iniziative come il Dizionario degli Italiani, Le cento parole che fanno e disfanno il mondo, il Vocabolario degli Italiani, i Cinegiornali della Pace).

Leggere i diari di Za è come sentir parlare il Po. E non si può fare a meno di pensare che l’acqua del nostro fiume sia una pellicola infinita, un film infinito. Così come è impossibile pensare il nostro cinema senza Za. La sua enorme energia, dispiegata senza risparmio di sé, in una specie di incontro di pugilato continuo contro i luoghi comuni. Quell’amore per quella realtà che si sarebbe potuta chiamare popolo, a volte indistinguibile dalla vita. Al centro c’è sempre l’essere umano, il suo dato imprevedibile. L’essere umano è ancora qualcosa di imprevisto oggi?

Suggestioni padane
(c) Simone Sardelli, 2024

Non si spiegherebbe la natura di Zavattini, la sua fantasia, la poetica dello sguardo, tra leggerezza e malinconia, se non fosse nato a Luzzara, nella Bassa emiliana, se non fosse nato e vissuto sul ‘suo’ Po con quell’andare ondivago che ispirava i suoi pensieri. La profonda, ricca, empatica umanità di Zavattini appartiene alle sue radici, insieme all’esuberanza rumorosa, alla sua robusta stretta di mano, alla meraviglia, allo stupore per la bellezza del mondo e dell’essere umano. E persino alla timidezza di Za, uomo coltissimo, autodidatta, anticonformista, che ha sempre fuggito l’esibizione. Za sperperatore di idee regalate a tutti, Za persuaso che il Pensiero non fosse tale se non fosse Pensiero di Tutti. L’essere umano oggi? E’ imprevisto e imprevedibile, è spesso assente, incapace di indignarsi, di lottare. L’umanità la vedo in gesti rarefatti, parole strappate al silenzio. Negli occhi di chi conserva l’innocenza.

“29 maggio 1946

Mi telefona una certa Guarducci, professoressa di università. Una sua amica moglie di pittore ha incontrato in treno, per Pasqua, un tale che si è spacciato per Cesare Zavattini e le ha fatto un sacco di promesse circa mostre ecc. ecc. da fare a Roma e le ha dato l’indirizzo dell’albergo Plaza. Così è venuta a scoprire la bugia avendo la signora scritto al presunto Cesare Zavattini”

Esiste uno Zavattini presunto, intendiamo uno Zavattini che ci è sfuggito?

Alberi, in Val Padana
(c) Simone Sardelli, 2024

Lo Zavattini che ci è sfuggito lo ritroviamo nei suoi quaderni privati. I diari servono a questo: a entrare nella mente e nel cuore di chi scrive, ad aprire spiragli sul privato, le confessioni, le debolezze. Gli odi e i rancori, i pentimenti che fanno parte della vita, le cose non dette, i fatti non realizzati. Tutto ciò che si è perduto o si perde nella vecchiaia. I ricordi, soprattutto paterni. Za è stato capace di guardare la realtà ma di vederne anche la controfaccia: è il suo umorismo. Lo stesso che gli ha permesso di scrivere le storiette del primo libro, Parliamo tanto di me (1931) al capezzale del padre morente, ispirato dalla levità di una piuma della sua fantasia e insieme dal senso della fine, da uno sguardo di pietà che muta in gioco dell’immaginazione.

Zavattini è presente anche in un altro diario altrettanto prezioso, quello di Tarkovskij. Ricordiamo una frase, in un giorno perduto alla nostra memoria, in cui Tarkovskij annota che Zavattini ha mandato dei fiori a sua moglie. Di diario in diario, lei che è curatrice dell’opera di Morselli, il grande scrittore occulto della letteratura italiana del secondo dopoguerra, di cui ha curato appunto, anche il diario. Qual è l’atteggiamento di chi scrive, come lei, di fronte al diario di un altro scrittore?

Casa rosa di Morselli
La casina rosa di Guido Morselli, foto di Valentina Fortichiari

Il diario è uno spiraglio, un punto di osservazione irrinunciabile per scrutare nella mente, nel pensiero di un artista, di uno scrittore. Soprattutto quando il diario, come nel caso di Zavattini e di Morselli, di grandi Classici come Tolstoij, Mansfield, Amiel, Goethe, Woolf, Baudelaire, Flaubert (ne citerei molti altri), ha valenza, qualità pari alle grandi opere letterarie che ci hanno lasciato. Bisogna entrare nei diari in punta di piedi, in silenzio, tra reticenza e curiosità. Si entra nel loro mondo, nel mondo della coscienza, dell’interiorità. Quanto di più sacro e prezioso. Degno di rispetto.

Lei tiene un diario?

Sì, continuo a tenerlo a tutt’oggi. Discontinuo, casuale. A intermittenza. Ma non posso farne a meno. Sono una diariomane, nella lettura e nella scrittura. Ho tenuto un diario di lavoro durante i miei 21 anni in Longanesi. Tengo un diario dei sogni. Un diario delle letture, dei film. Non rileggo mai. Tutto materiale che spero di aver la forza e la lucidità di distruggere al momento opportuno. Non sarebbe utile a nessuno. Anzi il diario privato potrebbe far soffrire qualcuno.

E là fuori, nonostante il buco nero dell’immediatezza dei social, qualcuno si concede ancora il gesto segreto di tenerne uno?

Scrivere un diario è il gesto più utile che si possa fare per conoscere se stessi. Per imparare a essere sinceri. Per guardarsi dentro. E guardare il mondo. Anche se si tiene un diario di lavoro, non solo di confessioni. La sincerità, la verità, sono molto difficili: chi scrive un diario deve essere feroce e schietto con se stesso. Il che non sempre succede. Si tende a dare di sé una immagine distorta, nel peggiore dei casi abbellita. Inoltre la scrittura a mano di un diario è una forma di analisi, di auto analisi in senso psicanalitico. Attiva certe aree del pensiero profonde, diverse dalla scrittura a computer.

 

Suggestioni padane
(c) Simone Sardelli, 2024

C’è un altro libro di Za, riproposto sempre da La Nave di Teseo, la cui attualità sembra bruciante. Ci riferiamo naturalmente a La Pace, questa parola che non sappiamo cosa sia e che era forse la parola più cara a Zavattini, quella contro cui ogni retorica sembra inesorabilmente infrangersi. Negli interventi di Za nelle scuole emerge una tensione fortissima tra quello che è il subito e il non-subito istituzionale. Per lei cos’è la pace?

Lavorando lungamente sui testi riguardanti il tema della Pace in Zavattini e sui suoi diari ho fatto mie le sue posizioni intransigenti. Antiretoriche. La guerra, le guerre non finiranno mai; delle bombe, degli orrori, delle stragi soprattutto di bambini nel mondo, non ci libereremo mai. L’unica cosa utile che possiamo fare è leggere leggere leggere, per formarci una coscienza critica. Per SAPERE LA PACE e difenderla con le armi giuste, la conoscenza, l’empatia, l’indignazione, la compassione, la difesa dell’uguaglianza, di un pensiero di Tutti. Di un pensiero democratico. Bisogna votare, non astenersi. Non restare indifferenti alla politica, anche se oggi non parla come vorremmo. Non ci piace. Bisogna combattere l’oppressione, la cancellazione dei diritti ovunque, in qualunque modo si presenti. Bisogna cominciare – nel nostro piccolo – a non giudicare, a non odiare, a non ferire le persone che abbiamo intorno. Utopia? Forse. Ma esiste un modo ‘umano’ di vivere. Consapevolmente. Basterebbe cominciare da questo. Con semplicità, senza retorica. Dall’amicizia, per esempio.

Colette e Bertrand, Estate 1920Adesso ci immaginiamo uno Zavattini sulle rive del Po, preoccupato perché una bambina sta nuotando nelle sue acque. Quella bambina era lei. Valentina, il nuoto e il rapporto con l’acqua sono protagonisti dei suoi lavori. Ci riferiamo in particolare a Lezione di nuoto, il libro che racconta l’estate di Colette e Bertrand, l’estate 1920. Lezioni di nuoto, e di un erotismo che è un saper stare al mondo, il saper usare tutti e cinque i sensi. Lei ha composto questo mosaico di voci, di presenze, tante piccole onde che si frangono in un tempo lontano, fino a quando la casa al mare, in Bretagna, va in fumo come ogni estate perfetta. Qual è stata la scintilla che ha fatto nascere questo libro?

Zavattini non sapeva nuotare eppure era poeta che camminava sull’acqua. A Po correva terrorizzato che io a 9 anni potessi annegare nelle correnti insidiose. Sapevo già nuotare.

La scintilla per il mio esordio narrativo è stato venire a sapere che Colette era una grande nuotatrice e il nuoto lo insegnava in Bretagna al figliastro. Io che adoro l’acqua, che ho iniziato a nuotare a 6 anni, ho praticato l’agonismo, e il nuoto l’ho insegnato, ho cominciato a ‘vedere’ quelle lezioni di Colette nella mia immaginazione. Ma non bastava. Sono andata a osservare per giorni la casa estiva di Colette, la grande villa dalle finestre sul mare; ho nuotato nella baia dove Bertrand imparava da lei i rudimenti del nuoto (e della vita, del sesso, della scrittura, della lettura: in una parola diventava uomo). Ho annusato, ascoltato, affrontato quelle acque. Ho usato tutti i sensi, laggiù, come Colette. E la storia è venuta da sé, in levare: ho tolto tolto tolto e ridotto all’osso la scrittura. Anzi, come un osso di seppia, dilavato, ripulito, setoso. Da allora continuo a nuotare, a scrivere di acqua, di nuoto. Il mare è parte di me, irrinunciabile. E’ malattia e medicina. Tutti i miei racconti parlano di acqua.

Maison bretonne de Colette
La casa in Bretagna di Colette, foto di V. Fortichiari

Se potesse essere intervistata da una persona che non è più qui, nota o meno, da chi vorrebbe essere intervistata?

Vorrei parlare, NON essere intervistata. Vorrei parlare, parlare, parlare con uno dei nonni che non ho mai conosciuto. E che, padre di mio padre, neppure mio padre ha mai potuto incontrare, dal momento che Tito era già volato via e papà è nato orfano. Tito è il nome che ho dato a mio figlio. Era una persona speciale: nato a Luzzara, come Zavattini (le nostre famiglie sono imparentate), noto a Za, era attore di prosa. Ha preso parte a qualche film muto dell’epoca.

Qual è il suo mare, Valentina?

I miei mari preferiti sono i mari del Nord, come in Bretagna, in Norvegia, in Islanda. Mari potenti, mari di carattere. In alcuni di questi ho nuotato. Adoro le maree. Non ho paura delle acque fredde.

Vesterhavet - Mare del Nord
(c) Daniel Abbruzzese, 2016

Oltre a Lezione di nuoto (Guanda, 2009- Solferino 2023) e La cerimonia del nuoto ( Bompiani 2014 ) in aggiunta alle curatele delle opere di Zavattini e Morselli, Arufabetto raccomanda a chi volesse approfondire l’universo letterario di Valentina Fortichiari Vita di Leonardo da Vinci (Sedizioni 2015) e soprattutto Non ha mai quiete – Leonardo e l’acqua (Sedizioni 2015) romanzo di quadri onirici, che ad Arufabetto è particolarmente caro.

Fåre, 2 aprile 2024