Dieci domande a Wanda Marasco
[a cura di Gigi Corsini]
Che fine fanno i sipari quando vengono sostituiti? Forse hanno una vita ulteriore. Ma anche dopo, se invece di scomparire, restano da qualche parte, saranno indissociabili dalle storie che hanno nascosto e mostrato. I romanzi di Wanda Marasco, presente nella decina finalista del Premio Clara Sereni con Di spalle a questo mondo, sono indissociabili dalla poesia. Arufabetto intanto si congratula con Wanda Marasco per la vittoria del Campiello e le pone le sue canoniche dieci domande.
1. Per tutti gli scrittori ci sono almeno due forme di “scrittura occulta”, quella che viene solo pensata o sognata, che non arriva mai alla pagina, e quella delle pagine scartate. Come funziona per lei questa economia della creazione?
Ha detto bene: “economia della creazione”. In me la preparazione alla scrittura avviene per accumuli, poi per sottrazione del superfluo. C’è la fase in cui indago, studio, compio dei percorsi per visitare luoghi e conoscere persone da interrogare. Sono “attraversamenti” in cui raccolgo dati preziosi e scrivo di dentro interi brani, ma li appunto soltanto se permangono, se continuano a piacermi. Le pagine scartate fanno una brutta fine. Le strappo senza pietà. Quando le riscrivo mi pare che siano tra le più belle.
2. Il teatro gioca un ruolo molto importante nella sua storia. “Di spalle a questo mondo”, immaginiamo che sia in scena. Se sottraendola al suo ruolo di regista le chiedessimo di scegliere una parte, tra i tanti personaggi del suo romanzo, quale vorrebbe interpretare?
Una metodologia drammaturgica è sempre presente nei miei romanzi. I personaggi sono maschere universali in azione. Anche la loro interiorità è la messinscena di una psiche svelata. Ogni dramma individuale e storico si fa corpo e pensiero in atto. È nudo e vivo, sottomesso alla necessità di essere rappresentato.
Se dovessi scegliere un ruolo da interpretare tra i personaggi narrati nel mio romanzo, non avrei dubbi: il pittore Edoardo Dalbono. Perché è sguardo. È la visione di chi, facendo arte, continua a sentire in bilico l’uomo, il personaggio, la storia, la natura e la spettralità del tutto.

3. Quella di Ferdinando Palasciano è una grande lezione di pietà, pagata a carissimo prezzo e che lascia il segno per quello che poi diventerà un cambiamento epocale, la nascita della Croce Rossa. In un momento come quello attuale, in cui la tendenza sembra quella di doversi per forza schierare, il messaggio di Palasciano appare quasi avveniristico. Bisogna augurarsi dunque un salto della tigre nel passato, come diceva Benjamin?
Ferdinando Palasciano non ha mai smesso la “rivolta”. I suoi discorsi in Parlamento erano sempre fondati sull’idea che Scienza, politica ed Economia dovessero agire per il bene dell’umanità, sustanziate dalla cultura e persino dalla misericordia. Ed è vero, per le catastrofi e la follia odierne l’intuizione di Benjamin, il “salto della tigre” (la rottura che riapre il dialogo tra passato e presente come recupero di valori e di conoscenze) sarebbe necessaria. Il “fulmine” aprirebbe il varco a un nuovo umanesimo. Anche “l’angelo della Storia” – per rimanere con Benjamin – è una metafora da recuperare. L’angelo in questione volge le spalle al futuro perché il futuro è il progresso falso, disumano, che nella sua corsa spietata dimentica l’umano, la Natura, la Storia e accumula rovine su rovine. Lo sguardo dell’angelo è rivolto al passato, all’unica dimensione che contiene le cause dei disastri del presente e del futuro.
4. Cos’è la diversità? Incontro totale col destino, condanna, occasione di scappare?
La “diversità” può essere condanna, dono, incontro totale col destino. Come accade per i miei personaggi può condurre alla scelta di una forma di esilio. In ogni caso provoca lo sguardo di un terzo occhio, la rivolta, la forza meditativa.
5. Poi per Palasciano arriva la follia. Secondo lei esiste un legame tra follia e infanzia?
La malattia mentale, in molti casi, annuda, rompe le censure, scatena un’anarchia interiore simile ai moti di ribellione e al desiderio di una sconfinata libertà, tipici e talvolta patologici nel bambino. Che è il fool per antonomasia, a cui può essere permesso dire la verità, agire come un clown rivelatore. In nessun’altra fase della vita accade quello che si scopre, che percepiamo nell’infanzia: di essere, come direbbe Bufalino a braccetto con Jung e Freud, “involontariamente” innocenti e “involontariamente” colpevoli, accompagnati da forme di ossessività e di sogno. In fondo Ferdinando è folle a partire dall’infanzia, quando scopre in sé l’idea della morte, la passione di curare e l’attrito permanente tra realtà e ideali.
6. La Storia. Il suo romanzo gioca su vari registri. La voce di Olga dà il tono, bilanciato dal resto della narrazione. Quanto sono importanti i romanzi per entrare nella Storia?
In un romanzo l’alternanza dei registri non risponde unicamente a una necessità stilistica. È utile a fondare drammaturgicamente una “imitatio vitae”. Dal grottesco al tragico. La prosa lirica nel mio testo è una sorta di circolazione sanguigna, è il rumore e la musicalità del testo, l’espressione della volontà di sublimazione che muove la coscienza di Olga e di Ferdinando. È stato detto che i miei romanzi sono partiture. Spero che sia vero. La voce di Olga, in questo senso, è la chiave di violino, la chiave di Sol posta all’inizio del pentagramma con la funzione di fissare la posizione delle note. Olga è il racconto. L’ordine e il dissesto del racconto.
7. La poesia. Il suo lavoro poetico riecheggia spesso nella prosa. Riguardo alla poesia, le chiederei di raccontarci qualcosa del suo amico Dario Bellezza.
L’amore per la poesia penetra nelle mie pagine con naturalezza, per formazione e istintualità. E sì, tra i poeti che ho conosciuto c’è stato anche Dario Bellezza. Ero affascinata dai suoi versi, dal suo scandalo di poeta e di uomo che macinava dentro la scrittura e la vita la disperazione del desiderio e la fretta di morire. Andai da lui, in via dei Pettinari. Il portone me lo aprì una vecchietta curva che mi guidò lungo le scale strette di quel palazzotto romano. Dario mi aspettava sul pianerottolo. La vecchietta sparì. Lui bisbigliò è la mia vicina, l’amo molto, bisogna amare chi è più vicino alla morte. E queste parole le pronunciò con un tono di affetto e di speranza, come fossero la direzione per la sua salvezza. Parlammo a lungo seduti in salotto. Di poesia, delle nostre vite. Anni dopo lo incontrai in una trattoria romana. Era circondato da ragazzini che bevevano e ridevano troppo. Mi apparve dominato dall’amarezza, interprete del proprio inferno. Ne ebbi paura e non riuscii a dirgli nulla. Più tacevo e più lui tendeva a scandalizzarmi. A un certo punto, sfrontato, tristissimo, disse che c’è, non mi ami più? Non ricordo che cosa gli risposi. Forse un balbettio con dei no in successione. Ma andandomene sapevo che non lo avrei più cercato.

8. Olga, Ferdinando, questo amore sembra andare in qualche modo oltre l’amore, sfiora un po’ quel che di metafisico c’è sopra il cielo di Napoli. Si può trovare un altro nome a un legame così intenso tra uomo e donna?
L’amore tra Ferdinando e Olga è umanissimo, segnato da fragilità e intensità. È anche un’entità che li salda alla vita e alla morte. È canto, ferita, carne, meditazione e slancio metafisico. Come nell’essenza della poesia.
9. Dato che il suo libro è in finale al Premio Sereni, le chiedo se c’è un libro di Clara Sereni che le è particolarmente caro o che si sentirebbe di consigliare.
Di Clara Sereni ho letto tre opere: Via Ripetta, Una storia chiusa e i racconti di Manicomio Primavera. Scrittrice di razza. Ho apprezzato molto la sua lingua cristallina, chirurgica. Tra tutti i suoi testi forse preferisco Una storia chiusa. Seducenti i personaggi, tutti alle prese con la fatica di vivere, con una “malattia” a cui dare il giusto nome. E la presenza della grande Storia che riverbera su ogni destino i fallimenti, i disastri.
10. Se potesse essere intervistata da qualcuno che non è più qui, una persona famosa o meno, ma importante per lei, chi potrebbe essere?
Potrebbero essere Shakespeare e Dostoevskji. Perché mi sorreggono. Mi aiutano a scendere negli abissi dell’uomo.
Grazie, Wanda.
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