Dieci domande a Edoardo Vitale
Arufabetto ha incontrato Edoardo Vitale, adesso presente nella terzina finalista del Premio Letterario Clara Sereni con il suo romanzo “Gli straordinari”, acuta disamina del mondo che ci circonda e ci attanaglia. Arufabetto si congratula, contento tra l’altro di aver scoperto come mai il personaggio di Quinto si chiama così. E ovviamente anche per Nico.
[a cura di Gigi Corsini]

1. Immaginiamo una pianta che sa leggere e che legge il suo libro. Che pianta sarebbe? E che direbbe del suo libro?
Sebbene sia estremamente affascinato dalla neurobiologia vegetale e abbia letto con interesse i vari saggi di Michael Pollan, Stefano Mancuso, Monica Gagliano, Peter Tompkins e Christopher Bird, Merlin Sheldrake, devo dire che immaginare una pianta che legge è uno sforzo che purtroppo la mia mente non riesce a concepire. Oltretutto, a casa mia c’è pochissima luce naturale, ogni volta che ho provato ad accudire una pianta domestica ho fallito miseramente. Le ho ammazzate tutte, quindi suppongo che vorranno vendicarsi su di me stroncando il mio romanzo, meglio non farglielo leggere.

2. Il mondo del lavoro, onnipervasivo, divoratore del tempo. Il suo libro ha un carattere politico che non passa inosservato, non solo per la questione climatica. Il pointillisme della sua prosa disegna un mondo del lavoro dall’apparenza inconsistente, ma potentissimo, da cui non sembra possibile scappare…
Nico e Elsa lavorano per una multinazionale del terziario avanzato che in quanto tale è una macchina astratta che produce assoggettamento e senso di appartenenza, un piano d’immanenza che ingloba tempo, corpi, persino la possibilità del desiderio. Loro rappresentano un’eccezione, perché hanno avuto successo e hanno vinto il gioco al massacro, sebbene a un costo altissimo – da qui il titolo – ma sotto di loro si muove un mondo fatto di precarietà e di sfruttamento invisibile, che passa attraverso finte partita iva, riunioni estenuanti, attività futili, violenza e sopraffazione, oltre a una quantità di tempo rubato che non potrà mai essere restituito. Questo è il capitalismo che divora futuro e clima insieme, ma lo fa attraverso la quotidianità, al ritmo delle giornate, è un’inconsistenza apparente dietro la quale si cela una forma di potere molto concreto.
3. Nico e Elsa, un amore che forse è qualcosa di diverso dall’amore. È come se i confini tra lavoro e vita privata fossero caduti e anche quelli tra amore e amicizia. Come si può definire la loro intimità?
Sono ancora perseguitato dalla domanda sulle piante, per cui rispondo che la loro intimità è simile a una rete micorrizica.

4. Non conosciamo una cultura che esuli dalla crisi, gli eventi storici sommano crisi su crisi, questo ha informato il nostro modo di pensare, il linguaggio, con i significati che diventano sempre più trasparenti, mentre l’incendio sembra avvicinarsi. Dove risiede per lei la capacità di resistenza della lingua?
Durante la scorsa estate ho avuto il piacere di conversare con lo scrittore Carlos Fonseca. Il suo ultimo romanzo Austral, pubblicato da Sellerio, ruota proprio attorno all’oggetto di questa domanda. Fonseca mi ha detto una cosa con cui mi sono trovato molto d’accordo, per cui mi rifarò alle sue riflessioni. Abbiamo il dovere di nutrire la lingua, rinforzarla, conferirle energia. Salvaguardare la complessità della lingua contro l’abbrutimento dell’efficienza e della standardizzazione, per salvaguardare la complessità con cui guardiamo al mondo. Ecco, nella lingua risiede la possibilità di interpretare la complessità del mondo e quindi la possibilità di resistere all’alienazione e allo sconforto.
5. C’è una soffusa ironia che percorre tutto il libro, una specie di respiro leggero, una disperazione gentile. Quanto è importante per lei l’ironia quando scrive e anche nelle sue giornate?
Le mie intenzioni erano piuttosto serie e non ricordo di aver scritto deliberatamente delle pagine ironiche, anzi. Molte persone che hanno letto, però, mi hanno riportato grandi risate, interpretando le descrizioni degli aspetti più grotteschi della contemporaneità come degli accanimenti ironici. Mi rendo conto che è una reazione plausibile, ma c’è da chiedersi anche quanto fossero risate isteriche o disperate, appunto. Suppongo che la risposta a questa domanda sia che l’ironia è inevitabile. Non la cerco quasi mai, ma arriva da sé, sia quando scrivo, che nella mia vita fuori dalla pagina. Il che è una grande fortuna, visto che sono particolarmente incline alla mestizia e all’austerità.
6. Quinto, un personaggio de Gli Straordinari. Tutto un po’ nel nome, che in mezzo a tutta quella disperata artificialità, suona estraneo, come uno strano Q-bit. Come nasce questo personaggio?
Farò una rivelazione che immagino non sconvolgerà nessuno. Quinto è il personaggio nel quale mi riconosco di più, soprattutto nelle sue idiosincrasie. In genere la mia firma è Ed V, dove la V iniziale del mio cognome può sembrare anche un numero romano. Da qui il nome Quinto. Adesso mi sento molto scemo ad averlo messo nero su bianco e sembra una cosa demenziale e narcisistica, probabilmente lo è. Ad ogni modo, mi serviva un personaggio minore che spezzasse la rigidità della coppia e attraverso il quale potessero emergere delle consapevolezze che Nico e Elsa non sono in grado di, o non vogliono, raggiungere.
7. Come ha scelto i nomi degli altri personaggi? Che tipo di àncora alla realtà è per lei un nome?
Sono in arrivo altre rivelazioni demenziali. Detesto dare i nomi ai personaggi, è qualcosa che per qualche ragione mi imbarazza moltissimo. Per tutta la fase di scrittura sostituisco i nomi propri con delle iniziali o con delle parole a caso che assomigliano a dei nomi ma che non lo sono davvero. Al tempo stesso non sopporto i romanzi i cui protagonisti hanno dei nomi poco realistici o assurdi, mi sembra un modo ingiusto di fuggire dall’imbarazzo di cui parlavo. Bisogna sottoporsi a questa cosa e io mi sono affidato ai riferimenti musicali. Nico viene da Christa Päffgen dei Velvet Underground e Elsa dal personaggio di una canzone degli Oasis che si intitola Supersonic.
8. L’editor, in tempi nemmeno troppo recenti se ne parlava poco, oggi per fortuna questa figura è arrivata un po’ di più sotto i riflettori. Chi è l’editor? Più Sancho Panza, più Jekyll, più Gatto con gli Stivali? O chi altro?
Ho lavorato a questo romanzo con Linda Fava, che per me è stata prima di tutto la persona che ha reso possibile realizzare l’ambizione di pubblicare un romanzo e che mi ha permesso di sentirmi uno scrittore. Ho scelto di lavorare con lei perché ho percepito subito una grandissima sensibilità verso quello che intendevo scrivere e una forte comunione d’intenti verso il tipo di romanzo che avremmo entrambi voluto costruire e pubblicare. I suoi interventi mi hanno permesso di migliorare moltissimo il risultato finale, lo hanno reso più solido, hanno controllato l’esuberanza e, se vogliamo, l’ingenuità di un esordio, senza soffocarle. Grazie a Linda sono cresciuto molto come scrittore e ho imparato tanto, ma oltre a questo lei è stata la mia figura di riferimento in tutto il complicato cabotaggio, prima e dopo la pubblicazione. Una buona parte degli esordienti viene un po’ abbandonata a sé stessa, soprattutto se non si è muniti di un agente o di un potenziale bestseller. Io non avevo né un agente, né un potenziale bestseller, ma con lei non mi sono mai sentito abbandonato. Le sono molto riconoscente e non do assolutamente per scontata la fortuna che ho avuto a incontrarla.
9. Visto che il suo è nella decina finalista del Premio Sereni, le chiedo se c’è un libro di Clara Sereni che le è particolarmente caro o che si sentirebbe di consigliare.
Ammetto con imbarazzo che non avevo letto nulla di Clara Sereni prima di entrare nella decina finalista del premio. Avrei voluto iniziare dal suo esordio, Sigma Epsilon, non solo perché sono un esordiente ma perché da quello che ho avuto modo di carpire attraverso la sinossi, sembra un romanzo sperimentale, con divagazioni fantascientifiche, estremamente interessante per i temi che affronta. Purtroppo però non sono riuscito a reperirlo, ma spero di intercettarlo in qualche modo, magari nella sua prima edizione Marsilio. Ad ogni modo, le cose poi sono andate all’opposto, e anziché partire dall’esordio, l’ho fatto dal suo ultimo romanzo, Via Ripetta 155, che quindi è anche l’unico che posso consigliare con cognizione di causa.
10. Se potesse essere intervistato da qualcuno che non è più qui, una persona famosa o meno, ma importante per lei, chi potrebbe essere?
Tutte le persone che ammiro sono troppo più intelligenti e colte di me, non sarebbe un bello spettacolo farmi intervistare da loro. In generale, non sono un grande sostenitore delle interviste: non sono a mio agio quando vengo intervistato e vengo spesso deluso dalle risposte che ottengo, quando sono io a intervistare qualcun altro. Durante le interviste le persone tendono a voler apparire più brillanti di quello che sono, io non sono da meno, è un atto performativo, non una vera conversazione e quindi non avrei un vero interesse a farla. Sono convinto che le conversazioni migliori avvengono mentre stiamo camminando con qualcuno. Allora dico che avrei voluto fare una bella passeggiata con Joan Didion e con Thomas Bernhard.
Grazie, Edoardo.
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