Intervista a Carla Gariazzo, regista teatrale

Il collettivo di Arufabetto è particolarmente sensibile alla parola che resta viva sulla scena. Di fronte ad una regista che fin da piccola tiene il vocabolario sul comodino, come se fosse il libro chiave dei sogni, Arufabetto non poteva fare a meno di porre qualche domanda curiosa.

Foto di scena
“Tutto è cominciato con le calze”, foto di scena, con Federica Bracarda.

Qual è stato il tuo incontro con il teatro? Puoi raccontarci il ricordo più lontano che ti ha fatto capire che quello era il mondo che ti aspettava?

Sono arrivata a Perugia che avevo 10 anni, facevo la quinta elementare. Nella scuola che frequentavo tutti i bambini facevano una esperienza di teatro, il direttore credeva fortemente che fosse una possibilità educativa e di crescita molto importante: pedagogia in atto.

Mi ricordo che di quella “recita” io ero la narratrice. Ero piccola, piccola e con un accento decisamente nuovo per i più… ricordo che avevo imparato a memoria tutte le parti e che avevo partecipato ai provini che la maestra aveva fatto per ogni parte, sembrava che le potessi fare tutte ma che decisamente non avessi l’accento giusto per nessuna, così optò per la narratrice.

Entrai in scena da sola, al centro della scena, e che scena! Era il Teatro Morlacchi. La cosa non mi intimidì per niente, anzi mi divertii tantissimo. L’unico problema fu ritrovare il camerino, lo stanzone della mia classe all’ultimo piano, alla fine di tutto. Ecco questo è stato il mio primo approccio con il teatro.

Poi non ci pensai più, finché una sera, avevo circa venti anni, andai a vedere uno spettacolo fatto da attori professionisti e bambini, un Ubu re, bellissimo, divertentissimo e dissi a me stessa voglio fare questo! Spettacoli come questi.

Nel frattempo ero diventata truccatrice professionista, mentre facevo Storia dell’Arte all’Università di Perugia, avevo frequentato l’Accademia di Trucco a Firenze, trucco estetico, teatrale e cinematografico. Lavoravo quindi per riviste, grandi case di cosmetici, per la tv e per il cinema, ma volevo assolutamente lavorare anche in teatro.

 

Mi sono quindi recata al CUT la scuola di Teatro dello Stabile dell’Umbria per chiedere al direttore se voleva inserire tra le materie di insegnamento il trucco. Il direttore mi ascoltò con attenzione e mi disse «ma perché invece non fai il provino per entrare nella scuola e cerchi di formarti come attrice»? Mi sembrò una cosa strana, ma non me lo feci ripetere due volte e di li a due ore ero una allieva del propedeutico del CUT. Alla fine del propedeutico però decisi di non entrare a far parte del Centro teatrale ma di frequentare il corso professionale di una nota compagnia umbra, quella che aveva messo in scena l’Ubu Re che tanto mi aveva colpito un anno prima, e della quale poi feci parte per circa 17 anni. In quel periodo continuai la formazione – e ancora lo sto facendo – avendo la fortuna di incontrare sulla mia strada tra i più grandi Maestri teatrali al mondo.

Ed eccomi qui… dopo 38 anni ancora con questa “malattia” dalla quale non riesco e non voglio guarire: il teatro.

La regista Carla Gariazzo con l’attrice Federica Bracarda, foto di Andrea Cancellotti.

Portare la parola in scena è farla vivere nella sua pienezza. Puoi raccontarci come lavori su un testo? 

La parola è l’altro dei miei amori, la adoravo anche da bambina. Sul mio comodino fin da allora c’è sempre stato un vocabolario, mi è sempre piaciuto leggere, prima di dormire, qualche parola, i suoi vari significati, l’etimologia… i vocabolari sono luoghi di grandi avventure! Non a caso parola significa parabola, è una storia, l’astrazione di una storia, un insieme di suoni che generano, che creano. A seconda di come usiamo le parole di come le mettiamo insieme creiamo idee, pensieri, nuove storie, nuove parole. Le parole non sono mai ferme, si modificano prendono nuovi significati, si identificano a seconda del contesto.

La stessa dizione, nel mio lavoro fondamentale, evolve cambia si modifica.

La parola, quindi, portatrice di allegorie, metafore, ecc. non è solo descrizione, ma è un’entità creativa – scegliendola, scegliendone il significato principale in quel momento si sceglie e genera una realtà.

Il cosiddetto sottotesto è appunto ciò che guida il mio lavoro di regia, è come una indagine investigativa, cosa vuole dire quella parola per quel personaggio in quel contesto?

Come posso esprimere quel significato attraverso il corpo/voce vivo dell’attore ed arrivare al corpo/voce vivo dello spettatore nel qui e ora?

Si potrebbe quasi dire che il mio lavoro altro non è che andare alla ricerca delle domande giuste da porsi e da porre a chi lavora con me.

Federica Bracarda, foto di Andrea Cancellotti

Come è nato il progetto di “Tutto è cominciato con le calze”? 

La modalità di scrittura di Antonella Giacon, autrice del testo che portiamo in scena, è per me assai divertente. Le sue parole non riescono proprio a stare ferme. Sembrano quasi come i bambini ai quali insegnava che non riuscivano a stare dietro al banco: le parole di Antonella hanno bisogno di muoversi di diventare altro da sé, di uscire dalla pagina e prendere vita. Ecco perché questo racconto mi ha subito colpito, le sue parole nella mia mente sono diventate personaggio.

 

Le ho chiesto se potevo mettere in scena questo racconto e bontà sua ha detto si. Poi per abitudine e per indole un po’ dispersiva e un po’ sintetica mi sono persa in tutti i rivoli che derivavano dal racconto e ho messo in moto tutte le esigenze che mi si affacciavano davanti. Ed ecco che il racconto, oltre che spettacolo con l’attrice Federica Bracarda, è diventato musica con Carlo Buonaurio, libro con ali&no editrice e diventerà l’inizio di altro ancora, se le persone alle quali ho chiesto la loro opera diranno di sì. Non penso mai ad uno spettacolo, penso sempre ad un progetto: uno dei motivi per i quali faccio teatro è appunto la possibilità di sintesi rispetto a tutto ciò che mi attrae e incuriosisce. A tutto ciò che costantemente studio e che mi porterebbe sempre altrove se il teatro, con la sua capacità di accoglienza, non fosse un luogo di aggregazione di istanze e persone.

Foto di scena, di Andrea Cancellotti

Quale consiglio ti senti di dare a chi desidera scrivere per il teatro?

Scrivere per il teatro, bella idea, credo però che al teatro bisogna arrivare, non è scrittura facile richiede conoscenza del teatro stesso. Un conto è scrivere qualcosa che poi qualcuno adatterà per il teatro e un conto è scrivere proprio per il teatro, che è una forma a sé. Che prevede una visione spaziale, temporale e tutta una serie di movimenti. Nonché la conoscenza dei vari teatri intesi proprio come luoghi fisici. Poi bisognerebbe avere ben chiaro per quale genere di teatro si vorrebbe scrivere le sue forme sono quasi infinite.

Quindi consiglierei a chi vuole scrivere per il teatro di vedere un mare di spettacoli, di farsi accogliere dalle compagnie durante le prove, di leggere quanti più testi teatrali possibile e vedere poi come si sono trasformati in copioni e messa in scena. Tutto questo ovviamente in più rispetto ai requisiti base della scrittura che darei per scontati…

Insomma il mio consiglio è: studiare tantissimo.